Ambientati in Sardegna a fine ottocento, più precisamente a Nuoro, e da leggere in ordine, in quanto nei successivi c’è qualche riferimento agli accadimenti descritti nei precedenti, questi racconti riportano le vicende di un avvocato, Sebastiano Satta (detto Bustianu, in sardo).
In realtà un avvocato-poeta con questo nome è realmente vissuto in quel periodo in Sardegna, per cui è facile immaginare che il protagonista dei racconti-romanzi si riferisca in qualche modo a lui.
Una prima caratteristica di tutti e tre è l’uso della lingua: italiano ottocentesco alternato al sardo, che ricorda la tecnica di Camilleri col siciliano, anche se alcune frasi sarde per me sono decisamente oscure, nonostante il contesto dovrebbe aiutarmi e nonostante un po’ di sardo io lo conosca.
Altra analogia tra Bustianu e Montalbano: quest’ultimo è solito dopo pranzo arrivare allo scoglio piatto, mentre Bustianu ama andare su un colle (sempre caro di leopardiana memoria): per entrambi dei luoghi dove riflettere da soli.
Poi le descrizioni della natura: la Barbagia, i paesaggi aridi, selvaggi, arsi dal sole o sferzati dal vento e dalla pioggia.
La mentalità antica, con cui il protagonista spesso deve scontrarsi. La difficoltà del nascente Regno d’Italia ad adattare le proprie leggi alle usanze isolane. Un avvocato socialista che deve continuamente mediare tra la legge, spesso violenta e incapace di entrare in sintonia con il popolo, e le usanze di questo popolo, il suo modo di gestire le questioni e i conflitti. Una Sardegna, quindi, che fa molta fatica a sentirsi parte del neonato Regno, un po’ come il meridione continentale.
Se leggere equivale a viaggiare, nello spazio e nel tempo, questi tre libri sono stati per me davvero un bel viaggio.