La sposa normanna

Letto tutto d’un fiato.

E diviso in tre parti.

Nelle prime due la protagonista è lei, la sposa normanna. Costanza d’Altavilla, una suora di clausura, suor Maria Veronica, strappata all’improvviso dalla quiete della vita contemplativa in cui si era rifugiata e ricollocata nel mondo secolare, allo scopo di dare continuità la dinastia degli Altavilla, sovrani normanni del regno di Sicilia.

Costretta a sposare un personaggio molto discutibile, quale Enrico VI di Svevia, uno con un certo numero di rotelle decisamente fuori posto, fa della nascita di un erede la sua unica ragione di vita.

E, tra complotti, intrighi, violenze inaudite, di cui degno protagonista è anche il papa (mi domando dove se ne sia andato lo Spirito Santo in quel periodo, ma questa è un’altra storia), riesce nel suo intento.

Partorisce davanti a un numero notevolissimo di testimoni, a Jesi, in piazza; l’unico modo per prevenire sul nascere i tentativi degli avversari politici di mettere in dubbio la regalità di suo figlio, e quindi la sua legittimità ad ascendere al trono normanno.

Con l’aiuto di pochi fedelissimi riesce a recuperare alla Sicilia il futuro re, gli inculca l’amore per la cultura, l’interesse per la scienza.

Ed eccolo, nella terza parte del libro: Stupor Mundi. Cresciuto più in mezzo al popolo di Palermo che a corte, dove gli era difficile persino procurarsi da mangiare, dopo la morte prematura della madre. Di intelligenza vivissima, affamato di sapere, curioso, intraprendente. E patriota, nel vero senso della parola: nonostante la predisposizione per le lingua si rifiutò sempre di parlare tedesco, pur comprendendolo.

Un giorno, quando sarò re, fonderò una grande scuola e convocherò a corte i più grandi scienziati del mondo”. Detto, fatto. Firmato: Federico II di Svevia.

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